ASL CASERTA - VALIDITÀ DEI CODICI DI ESENZIONE PER REDDITO

Una circolare della Regione Campania, inviata ai direttori generali delle Aziende Sanitarie Locali chiarisce i termini per la richiesta di rinnovo delle esenzioni per reddito, al fine di evitare possibili disagi ai cittadini che ne hanno diritto.

(Caserta, 03.04.2013). Dalla data del 31 marzo di quest’anno, i codici di esenzione ticket per reddito rilasciati nel 2012 cessano di avere validità.

Le persone residenti in Campania, aventi diritto al rinnovo, possono richiedere il rilascio del certificato provvisorio di esenzione presentando la domanda in qualsiasi momento successivo al 31 marzo 2013.

I cittadini titolari dei codici di esenzione E01 (meno di 6 anni di età o più di 65 anni); E03 ed E04 (titolari di assegni sociali o di pensioni minime) che nell’anno 2012 risultavano inseriti nelle liste degli esenti del sistema Tessera Sanitaria e che non hanno subito, nel corso di tale anno, variazioni di reddito, tali da far perdere loro il diritto all’esenzione, non dovranno recarsi agli sportelli dell’ Azienda Sanitaria e non dovranno presentare alcuna ulteriore documentazione, né domanda.

Queste persone, a partire dal primo aprile 2013, potranno verificare dal proprio medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta la loro posizione di esenzione. Potranno in alternativa conoscere la propria condizione di esenti rivolgendosi agli sportelli URP del distretto di residenza, o collegarsi al portale dell’ASL Caserta raggiungibile tramite l’ 'indirizzo http://www.aslcaserta.it , dove, nell’apposita area dedicata, inseriranno le seguenti informazioni:

- codice fiscale

- ultime 6 cifre del numero di identificazione della sua tessera sanitaria

- data di scadenza tessera sanitaria

Solo se questi cittadini non risultassero inseriti negli elenchi, pur rientrando nelle condizioni specificate e cioè, riconoscimento di esenzione per reddito nel 2012 e condizioni economiche invariate, potranno produrre l’ autocertificazione e richiedere il certificato provvisorio di esenzione.

Per quanto riguarda i soggetti che nel 2012 hanno presentato un’autocertificazione del reddito, essi possono presentare nuovamente l’autocertificazione, sempre che abbiano verificato con le modalità già chiarite, la presenza del loro nominativo negli elenchi.

I pazienti che negli anni dal 2010 al 2012 hanno presentato un’autocertificazione del reddito e che, a seguito dei controlli effettuati, siano risultati non rientranti nel diritto all’esenzione, possono presentare una nuova autocertificazione attestando che il loro reddito nel 2012 si sia ridotto rispetto a quello dell’anno controllato, in misura tale da consentirgli di rientrare nei limiti stabiliti per il godimento dell’esenzione.

Le persone che rientrano nella categoria per il rilascio del codice E02 (Disoccupati), dovranno presentare un’ autocertificazione secondo uno specifico modello con il quale viene richiesto il rilascio del certificato provvisorio di esenzione.

I cittadini titolari del codice di esenzione E05 (ISEE inferiore ai 10.000 euro), del codice di esenzione E08 (Cittadini trapiantati d'organo appartenenti ad un nucleo familiare con reddito ISEE non superiore ad euro 22.000 limitatamente ai farmaci correlati strettamente alle proprie patologie), e dei codici di esenzione per soggetti affetti da patologie croniche e invalidanti con reddito ISEE inferiore a 22.000 euro non dovranno recarsi agli sportelli per il rinnovo della loro esenzione in quanto il decreto commissariale n. 157 del 31.12.2012 ha prorogato la validità di tali esenzioni fino al 31.05.2013.

Per i cittadini extracomunitari iscritti al SSN, con permesso di soggiorno per richiesta di asilo politico o umanitario (codice di esenzione E07) il beneficio è valido per tutto il periodo di sussistenza del diritto.

CONVEGNO A CASERTA DEI LIONS AL JOLLY HOTEL

Venerdì 19 aprile 2013 alle ore 17:00 presso il Jolly Hotel di Caserta si terrà il convegno su legalità e giustizia sul tema "L'efficienza del Tribunale in Terra di Lavoro: esperienze e proposte".
Il Convegno - aperto alle istituzioni, agli operatori del settore ed alla cittadinanza - è volto ad analizzare le problematiche del funzionamento della Giustizia nella nostra Provincia, con riferimento alle emergenze degli organici e delle risorse, e con riguardo agli istituti processuali sovrabbondanti e defatigatori, e quindi a fornire spunti di proposte per il miglioramento del sistema da sottoporre alle autorità istituzionali preposte, al legislatore ed agli organi esecutivi.

Sono programmati i seguenti interventi:

Dott. Giancarlo De Donato

Presidente del Tribunale di S. Maria C.V.

Dott. Corrado Lembo

Procuratore Capo c/o il Tribunale di S. Maria C.V.

Avv. Alessandro Diana

Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di S. Maria C.V.

Modererà i lavori l’Avv. Alberto Martucci

Segretario del Lions Club Caserta Host


Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di S. Maria C.V. ha riconosciuto n. 3 crediti formativi per gli avvocati che presenzieranno all'evento.

ECCO COSA SI DICE IN CITTA'

A Santa Maria Capua Vetere finanche un cieco si sarebbe accorto che il mattone non portava da nessuna parte , invece l'occupazione è in ogni caso l'effetto trainante per un buon governo della città.

venerdì 28 settembre 2012

CASTELVOLTURNO RITORNA NELL'ISTITUTO DI PENA PREGIUDICATO NAPOLETANO

Nel pomeriggio odierno, alle ore 15.30 circa, personale dell’Ufficio Volanti della Questura di Caserta, diretto dal V.Q.A. Dott. Riccardo Di Vittorio, in esecuzione di un’ordinanza dell’Ufficio di Sorveglianza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che disponeva la sospensione della misura dell’affidamento in prova ed il ripristino della custodia cautelare in carcere, ha associato al carcere di Santa Maria Capua Vetere il pluripregiudicato DIONISIO Michele, nato a Napoli il 02.12.1970 ed ivi residente.

Il predetto dimorava presso l’Associazione  “Centro Le Ali onlus“ di Caserta, ove era sottoposto alla misura alternativa dell’affidamento terapeutico in regime residenziale con scadenza 27/01/2018.

Negli ultimi tempi si era reso responsabile di inosservanza del programma terapeutico riabilitativo e del regolamento interno della struttura, rendendo in tal modo incompatibile e non più possibile il proseguimento della sua permanenza in Comunità.

“OPERAZIONE MARITTIMI ONESTI”- TRUFFA AL SSN PER UN MIONE DI EURO - NOTIFICATI 6O AVVSI DI GARANZIE - FERMATE DUE PERSONE E TRE MEDICI


Nella mattinata odierna, personale congiunto del Nucleo Speciale d’Intervento del Comando Generale delle Capitanerie di Porto GUARDIA COSTIERA di ROMA e dell’Ufficio Locale Marittimo di  Castel Volturno (CE) in collaborazione con il personale del COMMISSARIATO della Polizia di Stato di Castel Volturno (CE), nell’ambito di una attività investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli (PM. Dr. J. H. WOODCOCK) ha dato esecuzione ad una alcune misure cautelari adottate dal GIP del Tribunale di Napoli (dott. E. De Gregorio) nei confronti di alcuni medici e marittimi di Procida e Napoli, nonché alla notifica di oltre 60 avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti marittimi (quasi tutti residenti in Procida) - soggetti sottoposti ad indagini per i reati di Truffa, Falsità ideologica e Favoreggiamento. Nello specifico, l’indagine in questione ha consentito, tra l’altro, l’emissione di 2 Ordinanze di Custodia Cautelare in regime di AA. DD. nei confronti di, rispettivamente, un medico fiduciario SASN di Procida e  di un marittimo di Procida, già pregiudicato, nonché  nr. 3 Ordinanze con le quali è stato disposto il  Divieto di esercitare la professione medica nei confronti di altrettanti professionisti di Procida,  tutti medici fiduciari SASN di Procida. L’indagine in questione, denominata dalla Guardia Costiera “Operazione Marittimi Onesti”, che vede coinvolti in una truffa al Servizio Sanitario Marittimo per circa  un milione di Euro Medici SASN (Servizio Assistenza Sanitario Naviganti) di Napoli e di Procida e rispettive segretarie, impiegati dell’IPSEMA di Napoli e numerosi marittimi, quasi tutti di Procida, ha avuto origine nel Gennaio del 2010, allorquando, nell’ambito di attività interforze di controllo straordinario del territorio sul Litorale Domizio, una pattuglia della Polizia di Stato procedeva al controllo di un’autovettura Ford Focus condotta da uno ei soggetti attinti dalla misura cautelare degli AA DD, che nella circostanza fu trovato in possesso di numerosi timbri della Capitaneria di Porto (risultati successivamente falsi e contraffatti) nonché di copiosa documentazione cartacea, che da un’ulteriore vaglio da parte del personale militare dell’Ufficio Locale Marittimo di Castel Volturno, risultava essere afferente ad atti e pratiche marittime di dubbia regolarità.  Nello specifico, la disamina di quella documentazione faceva emergere, nel complesso, la concreta possibilità che, la stessa, poteva essere utilizzata per perpetrare una truffa ai danni dell’ex IPSEMA (ora INAIL), al fine di beneficiare, in maniera illecita, dei contributi assicurativi per malattia erogati a favore dei marittimi imbarcati, ovvero per creare contratti di lavoro fittizi (convenzioni di arruolamento di cui agli artt. 328 e 332 del Regolamento del Codice della Navigazione), al fine di ottenere ingiusti benefici assistenziali. Altra analoga documentazione veniva poi rinvenuta, nel corso di una perquisizione domiciliare delegata dall’A.G. di Napoli, eseguita dalla G. Costiera di Procida, presso l’abitazione del medesimo soggetto, ove furono trovati diversi documenti e libretti di navigazione personali, riconducibili a numerosi soggetti, probabilmente coinvolti nella medesima attività criminosa. L’attività d’indagine, che ha visto i Comandi della Guardia Costiera e della Polizia di Stato impegnati incessantemente per circa due anni in varie attività investigative, con l’escussione a SIT di centinaia di persone, numerose perquisizioni ed interrogatori nonché a svolgere una complessa  attività tecnica  d’intercettazioni telefoniche disposte dal Sostituto Procuratore dott. H. J. Woodcock, titolare dell’indagine, ha fatto emergere il coinvolgimento nella medesima truffa in danno dello Stato, a vario titolo, di centinaia di persone.


L’affaire illegale gravitava intorno ai medici Fiduciari SASN di Procida, quali epicentro della mega truffa, i quali in accordo con i marittimi certificavano false patologie mediche, consentendo agli stessi di beneficiare, in modo fraudolento, dell’indennizzo mensile per malattia erogato dal Servizio Sanitario Naviganti. Di fatto i marittimi utilizzavano la cosiddetta “cassa marittima” come una sorta di “cassa integrazione” da sfruttare durante il loro periodo a terra di non lavoro,  i quali contattavano lo studio medico di Procida chiedendo (e sempre ottenendo con una semplice telefonata) l’apertura della “cassa marittima” portata poi avanti per mesi e mesi in base alle esigenze personali del marittimo. In particolare questi lunghi periodi di malattia (retribuiti mensilmente per migliaia di euro ad ogni singolo marittimo) terminavano solo alcuni giorni prima del nuovo imbarco. Disarmante la compiacenza dei medici e  delle segretarie attori principali dell’intero disegno criminoso i quali oltre a falsificare le segnalate patologie, contattavano, allo scadere del certificato di malattia, direttamente i marittimi per sapere se dovevano continuare o cessare la pratica di malattia.  L’attività investigativa ha permesso altresì di smascherare un giro di falsi imbarchi (così detto “imbarco del libretto”) a cui poi seguivano false pratiche di malattia.
                                                                                 


CASERTA- RAPINE A GOGO' PRESI I DUE CHE AVEVANO SETACCIATO LA CITTA '

I carabinieri della compagnia di caserta in collaborazione con la compagnia di casoria, nella serata di ieri, hanno tratto in arresto:
1. Del Prete Giuseppe, 26 enne, di frattamaggiore pregiudicato
2. Setola Gaetano, 42enne di cardito, pregiudicato
I due, tra le ore 19.00 e le ore 20.00 di ieri sera, in sella ad uno scooter si erano resi responsabili di ben quattro rapine a caserta, nel corso delle quali avevano asportato telefoni cellulari, oggetti in oro e del denaro alle vittime.
La tempestiva attivita’ di indagine posta in essere dai carabinieri del capoluogo, attivati dalle numerose segnalazioni pervenute nelo giro di pochi minuti, in seguito alla quale  e’ stato posto in essere immediatamente il piano antirapina predisposto nei giorni scorsi dai militari della compagnia di caserta. Le indagini si concludevano con la localizzazione dei due che consentiva ai colleghi della tenenza di caivano di fermare i due giovani mentre percorrevano la via del rientro.
I due, bloccati dopo un breve ed infruttuoso tentativo di fuga, sono stati sottoposti immediatamente a perquisizione e trovati in possesso degli oggetti asportati alle suddette vittime.
Sottoposti a successivi accertamenti, sono stati riconosciuti e pertanto sono stati sottoposti a fermo di indiziato di delitto e successivamente tradotti presso la casa circondariale di napoli.
Sono in corso accertamenti per everificare se i due si siano resi responsabili di analoghi eventi nella provincia.
La refurtiva e’ stata interamente recuperata.

GUARDIA DI FINANZA NAPOLI: SEQUESTRATE OLTRE 4,5 TONNELLATE DI SIGARETTE DI CONTRABBANDO. DUE PERSONE TRATTE IN ARRESTO IN FLAGRANZA.


Importante operazione a contrasto del fenomeno del contrabbando di tabacchi lavorati esteri è stata eseguita dai Finanzieri del Comando Provinciale di Napoli, i quali, nell’ambito dei consueti controlli di polizia economico-finanziaria hanno individuato nella periferia nord della città un magazzino semiabbandonato adibito a deposito di sigarette di contrabbando.
Inizialmente, i militari hanno bloccato un furgone dall’andatura sospetta che si era immesso su un’arteria viaria molto trafficata provenendo da un podere agricolo apparentemente abbandonato. L’automezzo – risultato condotto da due persone (un uomo e una donna), incensurati, di nazionalità italiana, legati da rapporto di parentela – aveva a bordo alcune casse di sigarette di contrabbando per circa mezzo quintale. La successiva perquisizione del magazzino in lamiera e mattoni, ubicato all’interno del fondo agricolo, consentiva di rinvenire l’ingente quantitativo di tabacchi di provenienza estera, di varie marche, in parte racchiuso in buste di plastica nera e in parte occultato all’interno di anonime scatole di polistirolo.
Complessivamente sono state sottoposte a sequestro oltre 4,5 tonnellate di sigarette, contraddistinte dal contrassegno fiscale della Repubblica Moldova, che recavano varie marche normalmente commercializzate al di fuori del mercato italiano: Classic Red”; “Classic Blue”; “Cooper Slim”; “Vertus”; “Range Classic”; “Ruby Super Slim”; “Kareena”; “Oris Slim”; “Pearl Slim”.
Inoltre, i Finanzieri hanno tratto in arresto, in flagranza di reato, i due soggetti fermati, nonché sequestrato l’intero immobile costituito da un capannone di circa 200 mq. ed il furgone impiegato per effettuare le consegne a domicilio delle sigarette.
Le sigarette, tutte provenienti dall’Est europeo, possono definirsi tecnicamente “genuine” poiché realizzate con tabacchi non oggetto di contraffazione, destinate, in particolare, al rifornimento delle "bancarelle" dedite alla minuta vendita nei quartieri popolari della città.
Il valore del prodotto sequestrato è stato stimato in oltre un milione di euro, e in circa 800mila € i tributi doganali evasi, tenendo conto che sulle bancarelle un pacchetto di tali sigarette viene generalmente ceduto ad un prezzo di circa 3 euro rispetto ai 5 euro richiesti nelle regolari rivendite.
L’odierno risultato di servizio, unitamente ad altri della medesima specie realizzati dai Reparti del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Napoli, attestano una recrudescenza del fenomeno del contrabbando di sigarette nell’area partenopea. Trattasi, verosimilmente, di uno degli effetti della crisi economico-finanziaria, che, da un lato, sta spingendo i clienti ad acquistare tabacchi a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato sul mercato ufficiale e, dall’altro, sta inducendo le organizzazioni criminali a rispolverare le “antiche” fonti di lucro.

SABATO 29 settembre GRANDE AFFLUENZA DI FEDELI SUL PIAZZALE DELLA CHIESA DI SAN LUCA IN CASAPULLA PER LA PRESENZA DELLA VEGGENTE MIRIANA.

La presenza,sabato 29,della veggente Miriana sul piazzale antistante la Chiesa di San Luca Evangelista,in Casapulla alle ore 18,00,certamente farà rivivere nei fedeli la stessa intensità di preghiera e di fede,sperimentata salendo e scendendo le due montagne,dove ognuno gusta il sapore del soprannaturale. Anche se la Chiesa ancora non si pronuncia sulla veridicità delle apparizioni,essendo il fenomeno ancora in corso,non può non considerare attentamente le meraviglie che Dio opera nei pellegrini,i quali,spesso assenti per anni dalle proprie comunità parrocchiali,al ritorno da Mediugorie,diventano testimoni credibili di fede e di amore verso Dio ed il prossimo.
Nella storia delle apparizioni quelle di Medjugorje sono una novità assoluta. Sono oltre 30 anni che la Madonna appare e dona i suoi continui messaggi,la cui semplicità di contenuto infastidisce i sapienti e gli intelligenti,ma trasforma sostanzialmente il cuore degli umili,i quali,aperti e guidati dallo Spirito di Dio, sanno vedere oltre,lasciandosi accarezzare dalle Sue esortazioni,spesso ripetute,che aprono i canali di irradiazione della misericordia di Dio su questa umanità “sazia,ma disperata”.
Al di là dell’atteggiamento della Chiesa,fatto di prudenza e di attento discernimento,nessuno può negare che Essa conosce questa grande ricchezza spirituale che avvolge tutti i pellegrini; sa il bene che essi ricevono dai pellegrinaggi a Medjugorje.Domani,la presenza della veggente Miriana in mezzo a noi – dice Mons. Filippo Melone - sarà un soffio di bellezza mariana. Da lei ascolteremo parole di verità,che certamente saranno per tutti un richiamo a cambiare vita,a non lasciarsi sedurre dalle tentazioni del mondo,a liberarsi dal guinzaglio delle apparenze,a mettersi in un atteggiamento di ascolto della Parola di Dio,l’unica certezza di eternità di fronte alla quale ogni cosa scompare,perchè tutto è fittizio e sfuggente. Ebbene,Medjugorje,al di là delle varie opinioni,che caratterizzano ogni fenomeno religioso,è un centro di irradiazione di conversione e di salvezza. Qui le semplici curiosità si trasformano in esigenza di fede,in desiderio di cambiare in profondità la propria vita. In un contesto sociale dove si assiste ad un smarrimento mentale,sociale,spirituale e morale,che imprigiona lo spirito,impedendogli di aprirsi alle sorprese e allo stupore del soprannaturale,Medjugorje si pone come luogo di provvidenza,dove ognuno può leggere e vivere le orme di Dio,può sentire il Suo respiro di Padre e toccare nel cuore la bellezza della Madonna.
       

AVERSA - CONVEGNO DIOCESANO ALLA CATTEDRALE DELLA CITTA' NORMANNA

In un tempo in cui sembra quanto mai difficile, per l’uomo comune, conservare la fiducia nel futuro, nel prossimo e persino in se stesso, la Diocesi di Aversa – in spirito di piena comunione con la Chiesa universale guidata da Sua Santità Benedetto XVI – chiama i cristiani del nostro territorio a raccogliere con gioia l’invito alla fede, ad appassionarsi a Cristo e al servizio dei fratelli.
È questo il tema del Convegno di aperura dell’Anno Pastorale 2012/13, convocato dal nostro vescovo S.E. Mons. Angelo Spinillo, che si terrà venerdì 28 settembre, alle ore 17.00, nella solenne cornice della Cattedrale di Aversa. I lavori saranno aperti da S.E. Mons. Giovanni D’Ercole, con una catechesi dal titolo “Io credo in Dio Padre…”, primo passo di un percorso di approfondimento che – seguendo il Catechismo della Chiesa Cattolica – ci condurrà a rileggere, meditare e annunciare più consapevolmente il Simbolo della fede, il “Credo”.
A questo primo momento, seguendo una prassi sperimentata con successo nello scorso anno, seguiranno altri incontri utili ad accompagnare il cammino di crescita della nostra comunità, nel segno di una riscoperta del valore della fede: il 28 gennaio 2013, S. Em. il Cardinale Camillo Ruini condurrà una meditazione sul tema “Credo in Gesù Cristo”; a seguire, il 20 febbraio, ascolteremo le parole di S. Martinez su “Credo lo Spirito Santo”; infine interverrà S.E. Mons. B. Depalma con una riflessione su “Credo la Chiesa”, da tenersi nell’aprile prossimo. La chiusura del percorso sarà affidata a un convegno conclusivo previsto per il 12 giugno 2013.
Nell’inagurare il nuovo cammino, ricordando i passi già compiuti nel solco della speranza – condizione preliminare per aprirsi alla luce della fede – il nostro vescovo S.E. Mons. Angelo Spinillo ha detto: «L’anno della fede dovrà essere il tempo provvidenziale in cui poter davvero sentire che la fede ci coinvolge nella comunione con la vita di Dio e trasforma tutta la nostra vita. Come fu trasformata l’esistenza di Abramo e la vita dei tanti uomini di fede di cui ci parla la Sacra Scrittura; come fu trasformata la realtà dei pescatori che diventarono Apostoli, e con loro, poi, dei Santi della Chiesa, così oggi la fede deve poter essere la forza e il fermento di una rinnovata trasformazione che permetta a noi, discepoli del Cristo nel terzo millennio, di essere l’umanità nuova che accoglie la sua chiamata e lo segue e, vivendo con Lui, santifica nel bene la vita del mondo».

SANTA MARIA CAPUA VETERE - Interventi nell’area verde tra via Pierantoni e via Perla,l’amministrazione comunale accoglie le richieste dei residenti



L’amministrazione comunale, accogliendo le numerose sollecitazioni provenienti dai cittadini residenti nelle palazzine della zona tra via Perla e via Pierantoni (lato sinistro nel senso di marcia), si sta interessando alla risoluzione dell’annoso problema riguardante il degrado dell’area verde compresa tra gli edifici delle due strade.
Si tratta di una situazione che, tra l’altro, rappresenta un pericolo per l’incolumità delle persone che vi transitano. Nell’area è necessario intervenire rapidamente con opere di manutenzione, con il ripristino delle caditoie e degli scoli per l’acqua.
E’ da anni che i residenti nella zona si lamentano, inascoltati, per il degrado di quell’area ed è quindi quanto mai urgente che vengano ripristinate la fruibilità dell’area e la sicurezza.
                                                                                                             

SANTA MARIA CV - “Puliamo il mondo”, gli alunni invadono la città per pulire la piazza dell’anfiteatro e il rione Sant’Andrea



In occasione della ventesima edizione di “Puliamo il mondo”, l’iniziativa promossa da Legambiente in tutta Italia, l’amministrazione comunale ha acquistato 125 kit per bambini e ragazzi e 25 kit per gli adulti e li ha consegnati agli istituti comprensivi “Raffaele Uccella” e “Alessio Simmaco Mazzocchi”.
Grazie alla collaborazione e all’impegno fattivo dei docenti e dei dirigenti, i ragazzi delle due scuole “invaderanno” le strade di Santa Maria Capua Vetere sabato 29 settembre, dalle 9.30 alle 12.00. Nei kit troveranno tutto l’occorrente per l’intervento (guanti, cappellini, sacchetti, volantini), oltre a gadget di Legambiente.
Le aree interessate all’azione di pulizia saranno la piazza antistante l’anfiteatro (dove interverranno gli alunni dell’istituto “Uccella”) e la piazza e le strade limitrofe del rione Sant’Andrea (con gli alunni dell’istituto “Mazzocchi”).
“Si tratta – dichiara l’assessore all’Ambiente Donato Di Rienzo - di un’iniziativa che si svolge contemporaneamente in tutto il pianeta e l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Biagio Di Muro, sottolinea con soddisfazione che la risposta da parte delle scuole, dei dirigenti, dei docenti e degli alunni è ampia e fattiva, avendo come unico scopo il bene comune. Il coinvolgimento dei ragazzi è fondamentale e rappresenta il senso profondo di questa iniziativa: bisogna infatti iniziare dal rispetto delle regole di convivenza civile, con una rivoluzione silenziosa che si chiama buona educazione. D’altro canto, con il loro impegno gli alunni ricorderanno a tutti noi adulti che il mondo è loro e che dobbiamo rispettare l’ambiente per lasciare in eredità alle nuove generazioni una città più bella, più pulita, più civile e più adeguata ai criteri dell’ecosostenibilità”.

SANTA MARIA CV - Conferenza nazionale degli economisti del lavoro,il presidente Mattucci all’inaugurazione nell’aulario



Il presidente del consiglio comunale Dario Mattucci ha partecipato, in rappresentanza dell’intera amministrazione di Palazzo Lucarelli, all’apertura dei lavori della conferenza nazionale dell’Aiel, l’associazione degli economisti del lavoro, che si è tenuta nell’aulario della Seconda Università.
Il prestigioso appuntamento si svolge in due giornate: la prima a Santa Maria Capua Vetere e la seconda a Caserta.
Erano presenti i professori Sergio Destefanis (Università di Salerno), Gian Paolo Califano (direttore del dipartimento di giurisprudenza della Sun), Clelia Mazzoni (direttore del dipartimento di economia della Sun).
“Un evento così importante sotto il profilo scientifico e dell’autorevolezza dei relatori – ha commentato Mattucci – costituisce senza dubbio un’occasione straordinaria per le nostre facoltà universitarie e per l’intera città di Santa Maria Capua Vetere, che si trova proiettata sulla ribalta nazionale e in un contesto accademico di altissimo livello”.

giovedì 20 settembre 2012

ECCO LA VERA STORIA DEL TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE 1

Non desideriamo risvegliare le coscvienze degli avvocatoi iscritti al foro di Santa maria Capua Vetere che conoscono la relazione dell'avvocato Giuseppe Garofalo fondatore della camera penale della città , ma quella dei politici e degli amministratori . In particolar modo coloro che hanno votato a favore nella commissione parlamentare come le tre grazie , L'onorevole Carfagna, L'onorevole Di Girolamo e l'onorevole Picierno che dovrebbero leggere un pò di storia del regno di Napoli  visto che loro hanno indole campane, invece di fare passerella nei salotti buoni.   
Care onorevoli questa è la relazione dell'avvocato Garofalo che lesse davanti allora ministro della giustizia Angelino alfano  al bicentanario del tribunale festaggiato il 9 ottobre del 2009.

IL TRIBUNALE DI “TERRA di LAVORO” IN S. MARIA C. V.


L’istituzione del Tribunale della provincia di Terra di Lavoro con sede in S. Maria C. V. non fu un isolato atto amministrativo per soddisfare posizioni campanilistiche, elettorali o esigenze pratiche di gestione giudiziaria, né è sorto per caso.
Fu la conclusione di un decennio di rivoluzioni e controrivoluzioni politiche, sociali, giudiziarie, rinchiuso nell’ambito della Legge del 30 Piovoso (19 febbraio ’99), seguita dal progetto di costituzione, rimasto inattuato, della Repubblica Napoletana; Legge 20 Maggio 1808 di Giuseppe Bonaparte sul riordino dei Tribunali; e più tardi Legge 29 Maggio 1817 sull’organizzazione giudiziaria del Regno delle due Sicilie; Legge organica 17 Febbraio 1861.
La celebrazione del bicentenario non  si è  limitata a quella giudiziaria che non può ignorare del tutto quella politica di cui è figlia.
Il decennio rivoluzionario che precedette l’istituzione del Tribunale, ebbe inizio nel gennaio 1799 con la Repubblica Napoletana che si trovò di fronte un mondo giudiziario che era  selva da nessun sentiero segnata”, come la definiva un alto magistrato.
Era la somma di 500 anni di legislazione sveva, angioina, aragonese, spagnola, con l’aggiunta di prassi, usi, costumi, interpretazioni, responsi dei dottori.
La foresta della legislazione era accompagnata da quella ancora più impenetrabile dell’ordinamento giudiziario.
Nel Regno di Napoli, diviso in dodici province, vi erano tre grandi Tribunali, antichi e meno antichi, con sede in Napoli.
La Regia Camera della  Sommaria, la Gran Corte della Vicaria, il Regio Sacro Consiglio, a cui si era aggiunto il Supremo Magistrato del Commercio.
La Regia Camera della Sommaria era il Tribunale del fisco. Aveva una competenza vastissima: tasse, appalti, incassi, spese pubbliche, feudi, ed ogni vertenza in cui il fisco fosse attore o convenuto. Era regolamentata dai Riti, raccolta di leggi e prassi, opera di Andrea d’Isernia. Era divisa in tre sezioni, aveva 10 presidenti, e un numero infinito di attuari e scrivani. Ne facevano parte anche i giudici “idioti”, così chiamati i componenti del Tribunale che non possedevano il dottorato in legge. Sulle questioni di diritto i giudici “idioti” non votavano. Le decisioni della Sommaria erano chiamate “arresti”.
La Gran Corte della Vicaria era il giudice ordinario civile e penale del Regno.
Si componeva in 4 “ruote” (sezioni) due civili e due penali, ciascuna composta da tre giudici. Quelle penali erano presiedute da un consigliere del Sacro Consiglio.
Era regolamentato dai “Riti della Vicaria”, compilati e pubblicati sotto il Regno della Regina Giovanna II, la lussuriosa.
La Gran Corte della Vicaria era il giudice di appello dei 12 Tribunali provinciali e giudice di prima istanza di Terra di Lavoro.
Il Sacro Consiglio era il Supremo Tribunale Napoletano.
Istituito da Alfonso D’Aragona nel 1444, era composto da 24 consiglieri di cui 20 divisi in 4 sezioni e dei rimanenti 4, due presiedevano le due ruote della Vicaria, il terzo ricopriva la carica di governatore di Capua e il quarto quella di consultore del viceré di Sicilia.
Era giudice di primo grado della città di Napoli e giudice di appello della Gran Corte della Vicaria. Per legge a questo Tribunale non potevano essere presentate istanze e richieste, ma solo suppliche perché rappresentava il re e quando parlava, parlava il re.
Le sue sentenze facevano testo in Europa.
Il Supremo Magistrato del Commercio era il più giovane.
Era stato istituito solo nel 1739 da Carlo III. Composto da magistrati e commercianti, era stato creato per dare slancio al commercio, soffocato dalle procedure dei Tribunali.

Udienze Provinciali: In ciascuna provincia esisteva un Tribunale detto “udienza”, formato dal governatore della provincia e da due giudici, detti uditori. Ne facevano parte l’avvocato fiscale, l’equivalente dell’attuale Pubblico Ministero e l’avvocato dei poveri.
Ai grandi Tribunali si affiancava una miriade di Tribunali settoriali.
1) Il Commissario di Campagna. Era il braccio giudiziario del Giudice Generale contro i delinquenti, un organismo presieduto da un membro del governo, creato per combattere reati lesivi della sicurezza e incolumità collettiva. Per approssimazione su ragioni e finalità potrebbe dirsi un lontano antenato della D.D.A. Aveva competenza territoriale limitata alla sola Terra di Lavoro. Operava in forza di giustizia delegata, (delegata dal re tramite il viceré), cioè quasi senza regole, salvo quelle del diritto comune, quale la difesa dell’accusato. Aveva una struttura autosufficiente: un cancelliere, più scrivani, un usciere, soldati, il boia, più sedi distaccate provviste di carceri, un’amministrazione propria soggetta a rendiconto alla Camera della Sommaria.
2) Il Tribunale Misto, composto da magistrati laici ed ecclesiastici, competente a decidere sui conflitti in materia di immunità personale, reale e locale. Era stato istituito nel 1741 in occasione del Trattato di accomodamento (concordato) tra la Santa Sede e la Corte di Napoli.
3) Tribunale della dogana delle pecore di Foggia. Decideva su tutto ciò che riguardava la dogana delle pecore. Tutti quelli che avevano rapporti diretti o indiretti con le pecore, i pascoli, il latte, i formaggi, e finanche i costruttori di fuscelle, erano sottratti civilmente e penalmente alla giurisdizione ordinaria.
4) Tribunale delle arti e mestieri: la seta e la lana avevano i propri Tribunali, e così altre attività.
5) La Corte delle meretrici: Era il tribunale competente a giudicare tutti gli affari civili e i reati connessi alla prostituzione, compreso il lenocinio, ma non l’aborto. Riscuoteva la gabella delle meretrici, la tassa che abilitava all’esercizio della prostituzione. Custodiva i registri delle “in gabellate”, cioè delle prostitute.
La sua struttura era: un giudice nominato dal viceré entro una terna proposta dall’appaltatore delle gabelle, uno scrivano, un portiere, più percettori. Era cessata di esistere nel 1640 quando la città di Napoli per liberare le sue sfortunate figlie aveva riscattato la gabella versando alla Corte Spagnola un milione di ducati. La sua giurisprudenza era ancora in parte utilizzata dalla Vicaria.
6) Uditore dell’esercito, era il responsabile della giustizia militare.
7) La Giustizia feudale. Ogni feudo piccolo o grande aveva la sua giurisdizione civile e penale. Solo negli ultimi tempi gli era stata sottratta quella relativa agli omicidi.
          
 Gennaio 1799: la Repubblica Napoletana, non perdé tempo a rivedere dalle fondamenta la giustizia. Non potendo abbattere in un giorno un secolare meccanismo giudiziario, dettò misure e regole provvisorie, ma di fondo:
1)      Cambio dei nomi dei Tribunali napoletani:
a)     la Camera della Sommaria viene chiamata Camera dei Conti Nazionali;
b)     la Gran Corte della Vicaria assume il nome di Gran Corte Nazionale;
c)      il Sacro Consiglio è chiamato Supremo Consiglio Nazionale.
Il cambio dei nomi ebbe solo un valore psicologico e servì ad indicare la rottura col passato.
Tutti i magistrati vennero invitati a rimanere al loro posto ed ad applicare le leggi vigenti.
2)      Redazione degli atti giudiziari in lingua italiana e non più in latino.
3)      Abolizione della tortura.
4)      Abolizione dei diritti feudali.
5)      Divisione del territorio, ai fini amministrativi e giudiziari, in distretti, cantoni e comuni.
6)      Per smaltire i numerosi processi per detenuti che affollavano le carceri, furono create due commissioni: la prima, la Commissione di Polizia, composta da un commissario di governo e 5 giudici, presieduta a turno di un mese da ciascuno dei componenti, giudicava dei delitti che comportavano una pena non superiore a 6 mesi.
La seconda era composta da un commissario di governo e 7 giudici. I processi dovevano terminare entro 5 giorni.
I provvedimenti definitivi sull’ordinamento giudiziario furono dati con la Costituzione, compilata dal Comitato di Legislazione di cui era anima e responsabile Mario Pagano.
Il modello francese era così articolato:
Giudice di Pace: uno per ogni capoluogo di cantone, assistito da 2 assessori.
Competenza: cause civili non superiori a 300 ducati e cause penali comportanti la pena non superiore ad un mese di carcere o alla multa di 50 ducati.
Tribunali civili: 3 in ogni dipartimento, ciascuno composto da 3 giudici.
Competenza: cause del valore superiore a 300 ducati. Giudicavano in appello le sentenze dei Giudici di Pace e quelle del Tribunale di Commercio. Sull’appello contro le sentenze di un Tribunale Civile decideva un altro Tribunale dello stesso dipartimento.
Tribunale di Commercio: composto da 5 giudici. Giudicava inappellabilmente le cause del commercio di terra e di mare non superiore a cento ducati. Per le cause di valore superiore si poteva appellare ad un Tribunale del dipartimento.
Tribunale criminale: uno per ogni dipartimento composto da 3 giudici, ciascuno dei quali, a rotazione di 3 mesi, faceva da presidente. Per le cause criminali erano previste due giurie, una di accusa e l’altra di giudizio, i cui componenti erano elettivi.
Corte di Cassazione: era composta da 7 membri. Annullava “i decreti fatti contro le forme legali o contro un caso espresso di legge”.
Tribunale di Censura: uno in ogni cantone, composta da 5 membri eletti dall’assemblea, che Mario Pagano definiva “i sacerdoti della Patria”.
Competenza: “vigilare sui costumi del popolo e dei pubblici funzionari (compresi i magistrati)”, privando dei diritti civili chi si rendesse colpevole di vizi e dissolutezze.
La funzione dei Tribunali di Censura era precisata e regolamentata: ”la loro facoltà non deve estendersi ad imporre sospensione dei diritti civili oltre il terzo anno, né potrà sui pubblici funzionari esercitare la censura se non dopo spirato il tempo delle loro funzioni, ed allora potranno essere puniti ancora per quei vizi, che nel corso delle loro cariche avranno forse manifestati. In tal modo sarà rispettata l’autorità dei pubblici funzionari, ed imbrigliata la baldanza dei viziosi”.
Il controllo dell’operato dei magistrati era stato sempre a cuore a Mario Pagano che in passato aveva proposto l’istituzione di una magistratura col compito di “sovraintendere ai costumi, alle leggi e all’amministrazione della Giustizia, vigilando perché i primi non si corrompano, perché non vengano proposte leggi cattive o inutili perché quelle emanate non siano neglette e perché i processi si tengano senza inganni o raggiri”.
Il Tribunale di Censura manteneva in vita lo spirito di un istituto secolare: il sindacato. Obbligava il giudice a dare conto, ogni due anni, del proprio operato. Introdotto da Federico II con la 101° costituzione di Melfi, era stato sostanzialmente confermato da Carlo D’Angiò.
Le leggi sveve e angioine prevedevano che il sindacato del giudice, a termine del suo mandato, dovesse farlo un altro giudice, il successore.
Gli aragonesi rivoluzionarono il sindacato. Per evitare che continuasse ad essere un affare tra soci, come scriveva G. M. Galanti, doveva essere esercitato da sindacatori non magistrati, nominati dai rappresentanti delle amministrazioni dove il giudice da sindacare aveva esercitato il suo ufficio. I giudici della Vicaria di Napoli erano sindacati dalla amministrazione della città attraverso suoi delegati. Che succederebbe oggi se quelle regole fossero ancora in vigore? Non c’è bisogno di fantasia per raffigurarselo.
La procedura di sindacato era meticolosa e i sindacatori avevano la qualifica di giudici ordinari, abilitati a cercare le prove, interrogare i testimoni e arrestare i falsi.
Il Tribunale di censura si richiamava al modello aragonese. Il vituperato Codice del Regno delle due Sicilie recepì il principio del sindacato (art. 164 legge 29 maggio 1817), sia pure limitatamente ai giudici del circondario e riconducendolo non al modello aragonese.
Nell’ultimo mese del triennio di servizio del giudice del circondario, i cittadini venivano invitati con pubblico manifesto a dare notizia delle trasgressioni del giudice per riferirle al ministro.
Al controllo previsto dal Tribunale di Censura, la costituzione repubblicana aggiungeva una norma generale di sbarramento e di principio (Titolo VIII – artt. 101 e 102), che oggi farebbe felici i politici.  Stabiliva: “I giudici non possono mescolarsi nell’esercizio del potere legislativo, né fare alcun regolamento. Non possono arrestare o sospendere l’esecuzione di alcuna legge, né citare dinanzi a loro gli amministratori per ragioni delle loro funzioni”.
Divieto ribadito dall’art. 199 legge 29 Maggio 1817 dalla restaurata monarchia borbonica.
L’ordinamento giudiziario repubblicano non entrò in esecuzione perché la controrivoluzione guidata dal Cardinale Ruffo, alla testa dell’armata della Santa Fede, abbatté la Repubblica. I capi e promotori, grazie anche, e soprattutto, alla inqualificabile slealtà dell’Ammiraglio Nelson, finirono impiccati o decapitati in Piazza Mercato, compreso Mario Pagano. La costituzione repubblicana compilata con l’impiego di un alto livello di cultura non andò mai in esecuzione.

La restaurazione ripristinò l’antica legislazione e ordinamento giudiziario, aboliti dalla Repubblica.
Un nuovo Tribunale di sangue, la Giunta dei rei di Stato, arricchì il boia. Sessanta impiccati e venti decapitati nei soli primi quattro mesi di attività.

Una manciata di anni, solo 7, e di nuovo un radicale sconvolgimento. L’armata francese, nel febbraio 1806, occupò il regno, a cui diede un nuovo re, Giuseppe Bonaparte. In attesa di emanare nuove leggi, il governo tenne in vigore la vecchia legislazione a cui con Legge 8 agosto 1806 affiancò 4 Tribunali straordinari che coprivano tutto il territorio del regno, competenti a “conoscere esclusivamente di tutti i delitti contro la pubblica sicurezza commessi a mano armata in campagna o sulle pubbliche vie; degli attruppamenti sediziosi ed armati; delle unioni clandestine; delle sommosse popolari; della reclutazione dello spionaggio e di ogni altra colpevole corrispondenza a favore dei nemici; e finalmente degli autori dei libelli o voce manifestamente diretta a turbare la pubblica quiete; e dei vagabondi”.
Ciascun Tribunale era composto da 8 membri, 5 civili e 3 militari. A parità di voti prevaleva quello favorevole all’imputato. Malgrado seguissero le regole di rito accusatorio con l’acquisizione delle prove al dibattimento, i Tribunali straordinari scrissero indimenticabili pagine di malagiustizia. Quello di Terra di Lavoro si rese responsabile del più straziante caso della storia giudiziaria del regno. Ad un vecchio farmacista settantaseienne, noto filoborbonico, in corrispondenza con gli ambienti della Corte, fuggita a Palermo, indagato per il grave attentato al Ministro di Polizia Cristoforo Saliceti, il giudice che conduceva le indagini, membro del Tribunale, promise la grazia se avesse fatto i nomi di coloro che avevano messo la bomba sotto il palazzo dove abitava il Ministro.
Il vecchio farmacista, Onofrio Viscardi, accettò il patto e dichiarò che autori dell’attentato erano stati i suoi figli con altri venuti da Palermo.  Il Tribunale condannò, tra gli altri, i due figli di Viscardi. Uno a 22 anni di ferri e l’altro a morte per impiccagione. Sentenza eseguita il giorno dopo in Piazza Mercato.
I napoletani tremarono per l’orrore. Non per l’impiccagione, da anni spettacolo quotidiano ad opera di rivoluzionari e controrivoluzionari, ma per l’accusa del padre contro i figli, una rivoluzione anche quella, ma contro natura. Nella Gran Corte della Vicaria, che ancora funzionava, nella porta accanto all’aula dove sedeva il Tribunale straordinario, una sentenza come quella sarebbe stata impensabile. Per sua giurisprudenza, i giudici, seguendo le leggi romane, non avrebbero utilizzato la testimonianza del padre contro i figli né quella dei figli contro il padre. 
 “ Perciocché o le voci della natura sono ascoltate da sé stretti congiunti, e il favore corrompe la testimonianza; o tacciano nel di loro seno, e conviene allora dire una ferina scellaragine abbia il loro cuore depravato”.  
Lo aveva scritto Mario Pagano, l’impiccato di qualche anno prima.
I napoletani tremarono ancora di più quando si accertò che quei due fratelli, uno impiccato e l’altro ai lavori forzati, erano innocenti. Il giudice commissario che aveva stretto il patto con il vecchio padre accusatore, non potendo negare la tragedia si limitò a dire che il processo era stato regolare.
Il giudice era Pietro Colletta, l’autore della Storia del Reame di Napoli.
Né questo fu l’unico episodio di malagiustizia del Tribunale straordinario. Michele Pezza, più noto come Fra Diavolo, temuto guerrigliero, protagonista di colpi di mano e imboscate contro le truppe Francesi, inquadrato col grado di colonnello nell’esercito borbonico, in violazione di tutti gli usi e le leggi di guerra, invocate dallo stesso colonnello francese, padre di Victor Hugo, che lo aveva catturato, fu condannato a morte come brigante e impiccato in Piazza Mercato.
La vicenda di Giambattista Rodio superò i limiti della ingiustizia, per diventare assassinio. Avvocato, era stato uno dei capi dell’armata della Santa Fede del Cardinale Ruffo nel ’99. Per i suoi servizi era stato nominato brigadiere e fatto marchese. Accusato di aver sobillato la popolazione a rivoltarsi contro i Francesi, era stato deferito alla commissione militare che il 25 aprile 1806 lo aveva assolto. Per capovolgere la sentenza il giorno dopo fu convocata un’altra commissione, che seduta stante, lo condannò a morte e lo fece fucilare alla schiena “così quel misero in dieci ore fu giudicato due volte, assolto e condannato, libero e spento; ed aveva moglie figliuoli, servizi e fama. La inumanità spiacque a tutti, fu grande ed universale il terrore”.
Lo scrisse Pietro Colletta che era componente di una delle Commissioni.
Dopo due anni e più di convivenza con la vecchia legislazione, il 20 maggio 1808 S. Maestà Giuseppe Bonaparte firmò tre decreti:
1)      abolizione dei monasteri di clausura;
2)      abolizione dei Banchi e creazione di un unico Banco di Corte;
3)      riordino dei Tribunali.
Con quest’ultimo fissò in ciascuna provincia un Tribunale di prima istanza. Quello della più grande e popolata provincia del Regno, Terra di Lavoro, fu fissato in S. Maria di Capua.
Il giorno dopo, 21 maggio 1808, il re partì da Napoli per non più tornarvi. Se ne andò alla chetichella, diversamente da come era venuto. La regina rimase ancora un mese e se ne andò con grande pompa, anche lei diversamente da come era venuta.
Lo spirito mordace dei napoletani si espresse in un manifesto
Lo Rre
E’ benuto da regnante
E’ partuto da brigante
La Regina
E’ benuta da mappina
E’ partuta da Regina.

Il decreto, oltre ad un Tribunale di prima istanza in ogni provincia, e all’ufficio della Procura Generale, istituì quattro Tribunali di Appello: Napoli, Lanciano, Altamura e Catanzaro.
Toccò a Gioacchino Murat, successore di Giuseppe Bonaparte, messo sul trono di Spagna, eseguirlo nel termine previsto, 6 mesi.
Primo problema: i componenti dei vari Tribunali. La maggior parte dei nominati alla Corte di Cassazione erano giudici provenienti dai vecchi tribunali. Il reclutamento dei componenti fu risolto faticosamente e senza applausi. Per la Cassazione furono nominati in maggioranza vecchi magistrati che avevano vissuto rivoluzioni e controrivoluzioni con relative vecchie e nuove legislazioni, e prestato giuramento a queste e a quelle.
Per i Tribunali di Appello insieme a vecchi magistrati furono utilizzati avvocati patrioti, perseguitati dai borbonici.
Per i Tribunali di prima istanza, i nominati dal governo, oltre a non raccogliere il plauso della pubblica opinione, furono, ad eccezione di qualcuno, definiti dal più autorevole diarista dell’epoca “la feccia del Tribunale e della gente”.
Il 30 dicembre 1808 furono dichiarate estinte tutte le giurisdizioni antiche.
Il diarista annotò: “dopo il corso di circa sei secoli abolito il Tribunale della Gran Corte della Vicaria, e dopo 4 l’augusto Sacro Consiglio e per quanto a me sembra coi vecchi Tribunali è sepolto ancora decoro della magistratura e dell’avvocazia napoletana, tanto rispettabile presso le nazioni straniere”.
Cinque giudici di Cassazione ebbero il compito di fare da liquidatori delle antiche giurisdizioni e dei processi che vi pendevano.
Con una cerimonia solenne il 7 gennaio 1809 si insediò in Castel Capuano, sul cui portone c’era scritto “Restaurazione della giustizia”, la Corte di Cassazione, presenti i presidenti ed i procuratori dei Tribunali di Appello e di quello Criminale, che a loro volta, prestato il giuramento, furono messi nei rispettivi uffici. Il cerimoniale contenuto in un particolareggiato decreto, non prevedeva la presenza, ad eccezione di quelli di Napoli, del presidente e del procuratore dei Tribunali di prima istanza delle province.
Il giorno dopo, 8 gennaio 1809, tutti quelli che avevano giurato in Castel Capuano, vestiti dei sontuosi abiti, minuziosamente descritti in un apposito decreto, in lungo corteo di carrozze, da Castel Capuano si recarono a palazzo per rendere omaggio al re.
Il diarista riferisce che il popolo “si burlava di questa mascherata”. Al passaggio del corteo c’era chi diceva che era la Congrega dei Pellegrini (che aveva la veste rossa), che andava a prendere un cadavere; chi sosteneva che erano i giustiziandi diretti al patibolo; chi riteneva che erano le maschere. “Insomma è sembrata una buffonata”.
Quella che al popolo era apparsa una buffonata era stata oggetto di due decreti che regolavano gli abiti dei magistrati e i dettagli dei gesti cui ciascun partecipante era tenuto.
Un momento di vanità, mondanità e frivolezza.
Dietro il solenne cerimoniale c’era stato un violento scontro di principio tra i poteri. Un gruppo di magistrati, chiesta udienza al Ministro di Giustizia, gli avevano detto che essi, per motivi di coscienza, non se la sentivano di applicare la legge istitutiva del divorzio. Proponevano di cambiare la formula del giuramento da prestare. Invece di giurare di osservare le leggi avrebbero potuto giurare fedeltà e obbedienza al re, come si faceva in passato. Questo gli dava modo di non applicare la legge e contemporaneamente non venir meno al giuramento. Ascoltata la proposta, il re reagì nel suo stile di generale di cavalleria: A chi non piace la legge o non si sente di applicarla, può andarsene anche a casa.
Se ne andò uno solo, Raffaele Tramaglia, che il re premiò per la sua coerenza assegnandogli una pensione equivalente a metà dello stipendio. Tutti gli altri rimasero e prestarono giuramento, ma decisero di resistere e svuotare la legge attraverso l’interpretazione.
L’occasione non tardò a presentarsi: due istanze di divorzio, una a S. Maria e l’altra a Napoli.
A S. Maria, come negli altri Tribunali di prima istanza, regnava confusione perché nessuno sapeva come fare i processi anche in mancanza di un codice di rito. Si decise di aspettare ed eventualmente uniformarsi a Napoli. L’istanza presentata a Napoli era di una semplicità disarmante provvista di prove evidenti. Un tal Moscati chiedeva il divorzio perché la moglie lo aveva lasciato da anni e viveva notoriamente more uxorio con un altro uomo. Giudice commissario della causa era Domenico Criteri uno di quegli obiettori di coscienza che avevano deciso di resistere. E resisté imperterrito.
Respinse l’istanza con una motivazione tra l’insipienza e la provocazione. Sostenne che la legge non era applicabile al suo caso perché quando la moglie lo aveva abbandonato l’istituto del divorzio non esisteva.
L’ira del Ministro della Giustizia e del re costrinsero il giudice alle dimissioni.
A Castelcapuano si accorsero che l’era della Repubblica dei Togati era finita e che al Governo c’era chi faceva rispettare i ruoli.
L’ordinamento giudiziario, introdotto da Giuseppe Bonaparte, contrariamente a quanto vigeva in Francia e a cui si era ispirato Mario Pagano nel redigere la Costituzione della Repubblica Napoletana, non instituì per i processi penali nessun tipo di giuria.
L’occupazione francese durò un decennio.
Con la caduta di Napoleone cadde anche il trono di Murat e tornarono i Borboni che, il 20 maggio 1815, riassunsero la sovranità nei territori del Regno al di qua del Faro. Contrariamente a quanto avvenuto in precedenza, il governo di S Maestà Ferdinando IV non rimise in vita l’antica legislazione che i Francesi avevano abrogata, ma elaborò un nuovo ordinamento giudiziario, il Codice del Regno delle due Sicilie, che a quello francese si ispirava. Per effetto della organizzazione giudiziaria del regno approvata con Legge 29 maggio 1817, presso ciascun tribunale esistente fu istituita anche una Gran Corte Criminale composta da un presidente e 6 giudici.
Solo per il tribunale di Napoli e di Santa Maria la Gran Corte era costituita in “due camere”cioè due sezioni.
Per determinati reati la Gran Corte Criminale si trasformava in Gran Corte Speciale con 8 giudici votanti.
Il Codice del Regno delle due Sicilie, cessò di avere vigore il 14 febbraio 1861, che è la data dell’ordine del giorno indirizzato all’Armata di Gaeta da Francesco II al momento di lasciare il regno.

Con l’avvento dell’Unità l’organizzazione giudiziaria ebbe una nuova articolazione:
1) giudici conciliatori;
2) giudici di mandamento;
3) tribunali di circondario;
4) tribunali di commercio;
5) corti di appello;
6) corti di assise;
7) corti di cassazione;

MARIO TUDISCO ATTACCA IL SINDACO BIAGIO MARIA DI MURO - e' SOTTO SCASSO DEI FACCIENDIERI DEL PARTITO DEL CEMENTO

Fateci caso: ogni volta che si tocca il delicato tasto della Giustizia, il Sindaco Di Muro perde facilmente la pazienza e inizia a sputare veleno contro il suo interlocutore! Evidentemente, questo è il tallone di Achille del Primo Cittadino per ovvi motivi parigini. Detto questo, mi tocca fare alcune precisazioni inerenti lo scomposto comunicato stampa del Sindaco. A) Non è vero che negli  ultimi mesi la mia attività assessorile fosse scemata. Anzi, a prescindere dalle numerose iniziative intraprese, avevo già allestito il PEG con numerose attività ex novo. B) Non riesco a capire chi mi tiene sotto scacco; forse il Primo Cittadino allude al padre che lo accompagnò passo dopo passo in campagna elettorale parlando a tutti i comizi elettorali al posto di un Candidato a Sindaco che non riusciva a dire neanche tre parole di seguito. In compenso, credo di sapere chi tiene lui sotto scacco: i suoi alleati ( in primis il PD ) e poi gli esponenti del  “Partito del Cemento “ che ha a cuore solo gli affari e le speculazioni.
C) A proposito di affari e speculazioni di ogni genere, il Sindaco spieghi alla Città come mai non ha inteso preservare le uniche aree industriali quali sono l’ex Tabacchificio e l’ex Siemens. Ma, invece, ha pensato bene di spianare la strada ai faccendieri finanche a ridosso del Cimitero come se non sapesse che questo genere di attività spalanca le porte alla Camorra S.p.a. L’unica Società che può permettersi il lusso di investire somme ingenti durante questa terribile crisi economica! D) Tali attività sono facilitate dal costante disimpegno del Sindaco e della sua coalizione rispetto al programma elettorale. E) Entrando nel merito della vicenda, vorrei tranquillizzare il Primo Cittadino: il mio Interrogatorio da parte della DIA è un atto consequenziale alla Interrogazione Parlamentare dell’Onorevole Corsini. Sono però curioso di sapere cosa diranno i Ministri dell’Interno e dei Beni Culturali alla Camera dei Deputati… Spero che questa sia una occasione utile per fare chiarezza anche in merito alle speculazioni del passato e attuali. Non è mica colpa mia se la Magistratura ha sequestrato molte pratiche edilizie anche alcune realizzate dalla Amministrazione in carica.